sabato 18 febbraio 2023

Anni '90 e attuali



Illustrazione di una creazione di Jean Paul Gaultier proveniente dalla collezione primavera/estiva del 2003.

Nell'ultimo ventennio del Novecento e anche nel Duemila, sono soprattutto gli stilisti che fanno da padrone nella reinterpretazione dell'uso del bottone, creando nuove forme ed inserendolo in luoghi che stuzzicano la fantasia.
Il bottone doveva puntare sulla qualità del disegno e dei materiali e dava modo di essere il coprotagonista dei modelli di Haute Couture. Mentre dal 1985/86 al 1992 quelli prodotti industrialmente riescono a raggiungere una tale bellezza e ricchezza inimmaginabile. Infatti per acquistare alcuni bottoni per un indumento si poteva arrivare anche a spendere delle cifre impensabili fino a raggiungere i 100.000 £. Questi bottoni potevano essere fatti persino in oro da 18 carati o comunque con dei materiali preziosi per cui il prezzo potrebbe essere anche giustificato. Un esempio, forse non di quegli anni, sono quelli di Gucci realizzati in oro. Il primo impatto quando li si guarda sembrano dei comuni bottoni gialli, con i quattro fori cucita a "X". Mentre in realtà non è così, poiché il motivo è stato creato per dare solo un'illusione visto che hanno il gambo sul retro e sono firmati Gucci 750.
Nel 1992 la situazione inizia a cambiare, scoppia lo scandalo nazionale italiano di tangentopoli e ricomincia la crisi economico-politica e termina intorno al 2000. Si credeva all'ideale propositivo di entrare con una unica moneta economica, il libero scambio commerciale in Europa e la globalizzazione potessero risolvere tutti i problemi, ma questa è un'illusione e l'inizio di un'altra storia.
I bottoni degli anni '90 sono quasi scomparsi o perlomeno ritornano ad essere più funzionali che decorativi, realizzati con materiali più economici e prodotti in serie.
Non è solo la crisi economica ad incidere sulla scelta di questo piccolo accessorio per gli stilisti; le cause potrebbero essere altre. Una di queste potrebbe derivare dal fatto che gli stilisti avevano scelto di cambiare modo di vestire e svestire le persone per cui i nuovi modelli proposti da loro. I bottoni non erano compresi hanno optato per evitarli, per un senso pratico, di velocizzare la vestizione o svestizione. In questi anni le sarte iniziano piano piano a scomparire sia quelle in casa che le sartorie con bottega lungo i centri abita sia in periferia che in città, insomma ovunque è difficile trovare una sartoria di fiducia. Attualmente ne esistono assai poche o ci sono delle catene di franchising che apro e chiudono come funghi, alcune o poche rimangono. Questo succede poiché i costi di gestione sono arrivati ad essere insostenibili, il lavoro scarseggia e quello che subentra non è sufficiente, la clientela è abituata all'usa e getta, al pronto e subito, si ha sempre fretta, sono rari le situazioni di una volta, ma non impossibili. Pertanto iniziano a chiudere pure le mercerie e qui si crea la catena e si usa sorta di effetto domino, cessano le attività anche alcune fabbriche che producono i bottoni e così via per andare a finire che per avere un bottone tocca ordinarlo e aspettarlo che vengo da qualche paese lontano dall'Italia. Comunque quelle ditte rimaste provano a rimanere attive producendo dei bellissimi bottoni. Mentre altre sono fatti con materiali trasparenti, lavorati con il laser, importati dall'India, Indonesia oppure fatti con materiali naturali come il legno, corno, madreperla lavorata a mosaico, la corda, paglia e il sughero. Nonostante tutto la crisi è pesante e si fa sentire parecchio. In quel periodo si vendevano molto bene solo i bottoni piatti in madreperla verniciata e opacizzata che è un oltraggio alla sua bellezza naturale. 
Con l'arrivo del Duemila, i produttori avevano creato anche una serie di bottoni poverissimi con la scritta "2000" per ricordare quest'anno, forse si pensava che poteva essere una svolta piena di propositi favorevoli alla crescita e allo sviluppo in tutti i sensi. Infatti sicuramente ha portato dei grossi cambiamenti, la scomparsa della Lira e l'inizio l'Euro, ma non sicuramente del bottone, è ancora qui!
In quegli anni venivano utilizzali i materiali naturali erano i più ambiti come la madreperla e conchiglie, cocco, corozo, corno, legno. Non mancano anche i materiali sintetici ed artificiali come galalite, il perspex e il pristal. Inoltre vengono utilizzati molto spesso i bottoni clip.
Come ad esempio Jean Paul Gaultier che nella sua collezione primavera/estiva di alta moda del 2003, ha fatto uso dei bottoni per decorare e ricoprire alcuni dei suoi indumenti e acconciature.
Inoltre in questo periodo hanno inventato i bottoni di tutte le forme e colori alcuni assomigliano persino a dei veri pasticcino.
Bottoni grandi come borchie sulla cintura per gli abiti armatura di Gaetano Navarra (A/I 2010-2011) e qui il bottone che fa la differenza.
Attualmente c'è una forte crisi per il bottone sono poche le aziende rimaste ancora in piedi che cercano di mandare avanti la produzione. La crisi energetica, climatica, economica e tante altre problematiche non permettono la continuazione di quello che per anni e secoli è esistito. Il bottone come altri prodotti sono fatti ed esportati anche da alcune aziende straniere. In Italia non ci sono le possibilità, i mezzi e tutto quello che serve per poter crescere. Se una persona credesse in un progetto sarebbe quasi impossibile poterlo realizzare o perlomeno mandarlo avanti per tutta la vita, senza rischiare di portarlo al fallimento. Forse con tanta fortuna tutto è possibile e si potrebbe creare qualcosa. Infatti i bottoni per l'abbigliamento potrebbero essere sempre meno, ma vengono adoperati molto più spesso dagli artisti per creare delle meravigliose opere. 
Un esempio è quello di Simonetta Starrabba assembla, incolla e sceglie accuratamente i suoi materiali li manipola costruendo delle composizioni con i bottoni per creare qualcosa di nuovo o delle spille. Le sue creazioni sono pura fantasia e assomigliano a dei pasticcini. 
Comunque sia il bottone è come un sogno, porta lontano oltrepassa quelle barriere insormontabili, fa volare la mente, apre quelle stanze segrete, permette di superare tutti gli ostacoli, è simbolo di comunicazione, è bello ed elegante tanto quando si potrebbe dedicargli persino un monumento.
Non c'è limite alla fantasia, si può creare un mondo di progetti fantasiosi e utilitari. Con il bottone tutto si può fare basta volerlo, basta fermarsi e sognare.

Bibliografia

DE BUZZACCARINI VITTORIA e MINICI ISABELLA ZOTTI, Bottoni & bottoni, Modena, Zanfi, 1995, 2 ed.
EPSTEIN DINA e SAFRO MILLICENT, Buttons, New York, Harry N. Abrams Inc., 1991.
FERRIGNI PIETRO COCCOLUTO, I Bottoni nell'arte e nella storia, Napoli, Colonnesse, 1993, 2 ed.

Sitografia

https://marcogore62.wixsite.com/museodelbottone/la-storia-dei-bottoni

Aggiornamento del 28/02/2023.
Aggiornamento del 1/03/2023.
Aggiornamento del 23/11/2023.

Anni '80



Illustrazione della creazione della stilista americana Patrick Kelly.

Nei primissimi anni Ottanta ritorna alla sua classica forma, si adegua anche la produzione di bottoni in resine sintetiche, spesso un composto che si chiama corozite e che imita il corozo naturale.
Negli anni Ottanta si ispirano al Rinascimento, i bottoni venivano allineati sui corsetti, giustacuore gonne o sopra pantaloncini a sbuffo, a pera, che riportavano al XVI secolo.
Dal 1985/86 al 1992 i bottoni fatti industrialmente raggiungono una bellezza ed una ricchezza unica. Per l'acquisto dei bottoni per un abito si arriva a spendere anche £ 100.000.
Bottoni mania negli anni '80 erano scattati con Patrick Kelly lo stilista americano a Parigi.
Alcuni sostengono che Luigi Fenili, collezionista, aveva perso il conto dei bottoni posseduti poiché quotidianamente se ne aggiungevano alla sua collezione.
Perclie Karl Lagerield o Franco Moschino prediligevano il corno, anziché il corozo o la resina.
Il bottonificio Prealpino era una delle pochissime fabbriche italiane artigianali e conferma che la tintura dei bottoni tradizionale. Nella fabbrica esisteva una cucina con delle pentole in cui si riponeva a scaldava l’acqua con le polveri di tintura. In fase successiva venivano posati su vassoi per la tinteggiatura a spruzzo e in seguito posti in forno ad essiccare. I bottoni di corozo vegetale molto igroscopico, dopo la tintura venivano fatti essiccare naturalmente al sole.
Il bottone nella seconda parte degli anni '80 muta forma e si risveglia nella funzioni decorative e festose messo al centro oppure qualche bottoncino sul busto, sui polsini, pantaloni a completa discrezione dello stilista.
Nel 1985 Luca Coelli e Sam Rey con la collezione Pour Toi. Avevano iniziato a mettere al bando le mezze misure. Su alcuni dei loro maglioni erano presenti fino a seicento bottoni. Avevano incominciato “disegnando” con i bottoni. Nella collezione estiva, etnica, i bottoni erano stati usati come fossero pezzi di sughero. Loro avevano l'obbiettivo di dare un aspetto primitivo e materico. Bottone di madreperla, usato per delle collane, messo a rovescio. In breve, attaccar bottoni significa ornare.

Bibliografia

DE BUZZACCARINI VITTORIA e MINICI ISABELLA ZOTTI, Bottoni & bottoni, Modena, Zanfi, 1995, 2 ed.
EPSTEIN DINA e SAFRO MILLICENT, Buttons, New York, Harry N. Abrams Inc., 1991.
FERRIGNI PIETRO COCCOLUTO, I Bottoni nell'arte e nella storia, Napoli, Colonnesse, 1993, 2 ed.

Aggiornamento del 28/02/2023.

Anni '70


Illustrazione di un bottone.

I bottoni negli anni Settanta sono esclusivamente a scopo funzionale, impiegati soprattutto nei capi sportivi. Inoltre, erano meno vistosi e con abbottonature nascoste dai parka e eskimo.
Il bottone in questo periodo subisce un tracollo, questo succede per il fatto che i costi di produzione erano elevati e per via di un mutamento radicale delle moda che evidentemente non necessitava più di esso e sostituibili con la cerniera considerata più pratica, veloce e di costi inferiore.
Negli anni '70 andava di moda la linea androgena e i bottoni non erano altro che dei dischetti piatti a quattro fori che potevano essere in vera o finta madreperla. Quest'ultima era realizzata dal petrolio, ma l'effetto che si otteneva era tale e quale alla vera madreperla, praticamente ad occhio nudo era irriconoscibile, infatti il bottone veniva trottato meccanicamente se si voleva cogliere la differenza tra i due materiali. Benché c'era una produzione inferiore non mancavano quelli in cuoi semisferici adatti sui mantelli loden, c'erano anche i bottoni di legno, di corno, o finto.
Oltre a Coco Chanel, anche altri stilisti come Gucci ed Armani, inserirono il loro logo all'interno dei bottoni usati nelle loro collezioni d'abbigliamento.
Il bottone si adatta alle diverse esigenze tendenze stagionali della moda. Con la comparsa delle giacche oversize, erano proporzionalmente cambiate anche e dimensioni dei bottoni e i loro colori che abbandonano le sfumature scurissime per sprazzi quelli più vivaci.
Mentre nella collezione di Zegna, Giorgio Armani, Cerruti riutilizzano i classici bottoni con i tondino piccolo ma cercano forme più consone alla nuova filosofia di abbigliamento che si troverà nel decennio successivo.

Bibliografia

DE BUZZACCARINI VITTORIA e MINICI ISABELLA ZOTTI, Bottoni & bottoni, Modena, Zanfi, 1995, 2 ed.
EPSTEIN DINA e SAFRO MILLICENT, Buttons, New York, Harry N. Abrams Inc., 1991.
FERRIGNI PIETRO COCCOLUTO, I Bottoni nell'arte e nella storia, Napoli, Colonnesse, 1993, 2 ed. 

Aggiornamento del 28/02/2023.
Aggiornamento del 1/03/2023.

Anni '60


Illustrazione di alcuni bottoni.

Negli anni Sessanta i bottoni vengono largamente sostituiti con la cerniera oppure sono presenti, ma meno vistosi. Molti bottoni sono con i quattro fori perpendicolari due a due sul centro, a semisfera e piatti, mentre quelli a pressione sono grossi, color del ferro e allacciano i blue-jeans e i giubbotti di denim.
I bottonifici industriali non offrivano un'adeguata rischiata del mercato della moda. Si producevano dei buoni bottoni, non stingono, non si opacizzano e non arrugginiscono. Inoltre il bottone si doveva adattare perfettamente alla macchina per essere attaccato all'indumento. Era di consueto nel pronto moda che i bottoni venissero uniti dalle macchine da cucire.
Le resine ureiche hanno sostituito la galalite negli anni '40. Mentre nei primi anni Cinquanta le resine acriliche, come la galalite, si sono confermate altrettanto valide per la loro lucentezza e la resistenza. La più conosciuta era il plexiglass per la sua trasparenza. Questo materiali sostituisce la fragilità del vetro. Inoltre, compaiono i bottoni in poliestere, nylon e acetati. Questi materiali incontrano l'apprezzamento dei produttori; gli acetati hanno qualità cromatiche come l'effetto traslucido, mentre i poliesteri sono di basso costo e di notevole facilità lavorazione e di conseguenza permettevano una maggiore produzione in serie.
Dal 1960 a Londra c'è il Button Queen, una bancarella che vende bottoni da collezione. Toni Eritbche era il proprietario, per anni proponeva bottoni nei famosi mercati della città da Portobello a Bermondsey . Commerciava anche bottoni nuovi e italiani.

Bibliografia

DE BUZZACCARINI VITTORIA e MINICI ISABELLA ZOTTI, Bottoni & bottoni, Modena, Zanfi, 1995, 2 ed.
EPSTEIN DINA e SAFRO MILLICENT, Buttons, New York, Harry N. Abrams Inc., 1991.
FERRIGNI PIETRO COCCOLUTO, I Bottoni nell'arte e nella storia, Napoli, Colonnesse, 1993, 2 ed.

Aggiornamento del 28/02/2023.
Aggiornamento del 1/03/2023.

Anni '50



Illustrazione di un ipotetico bottone di Coco Chanel. Le due "C" si intersecano a formare i petali di una camelia in maniera minimale e priva di eccessi, come è stato sempre ricorrente nel suo stile dagli esordi fino alla sua scomparsa. 

Passata la guerra e il periodo autarchico ritornano ad essere utilizzati i bottoni in plastica che avevano conquistato largamente il favore dei clienti perché più economici e resistenti ed in più potevano imitare qualsiasi altro materiale. Inoltre negli anni cinquanta, si iniziavano ad utilizzare tutta una serie di elettrodomestici che rovinavano completamente i bottoni realizzati in materiali delicati come porcellana e vetro che vennero sostituiti con quelli in plastica e metallo. L’utilizzo delle cerniere, del velcro e dei bottoni a pressione ridusse considerevolmente l’impiego dei bottoni nei capi d'abbigliamento di uso quotidiano. Un altro fattore che comportò una diminuzione nell’uso dei bottoni più ricercati, fu il trionfo della bigiotteria che sostituì il ruolo decorativo del bottone come abbellimento dell’abito.
Coco Chanel nel 1954 rimette in auge i bottoni gioiello in metallo dorato con la sigla del suo marchio.
I bottoni dovevano essere dello stesso colore dell'abito di conseguenza gli artigiani si erano attrezzati creando uno stanzino per tingere secondo campione.
Particolarmente apprezzati i bottoncini a quattro fori di galalite in genere di origine industriale, piatti oppure leggermente concavi con un leggerissimo bordo in rilievo e arrotondato. Questi vengono chiamati Molyneux, da Edward Molyneux un couturier anglo-francese. Lui è stato il primo ad usarli e a proporli sui suoi capi d'abbigliamento. Inoltre ne tingeva qualche d'un in più che in seguito venivano cuciti all'interno dell'abito nel caso di smarrimento.
Negli anni Cinquanta il blazer con dei bottoni metallici e faceva parte del guardaroba maschile.
I bottoni metallici potevano essere stampati con vari motivi quali soprattutto la S, stemmi, e scudi. Talvolta avevano delle armi e marinerie. I marinai indossavano una giacca blu con dei bottoni incisi con un ancora.
I bottoni in metallo di solito sono in ottone galvanizzato.
Nella divisa dei carabinieri sono presenti dei bottoni in argento raffiguranti su ogni uno una fiamma. Loro non li cuciono sull'indumento, ma li inseriscono con un anellino nel panno della giubba.

Bibliografia

DE BUZZACCARINI VITTORIA e MINICI ISABELLA ZOTTI, Bottoni & bottoni, Modena, Zanfi, 1995, 2 ed.
EPSTEIN DINA e SAFRO MILLICENT, Buttons, New York, Harry N. Abrams Inc., 1991.
FERRIGNI PIETRO COCCOLUTO, I Bottoni nell'arte e nella storia, Napoli, Colonnesse, 1993, 2 ed.

Aggiornamento del 28/02/2023.


Anni '40



Illustrazione di un ipotetico bottone degli anno '40.

A causa degli eventi bellici, durante la seconda guerra mondiale, una dopo l’altra le fabbriche di moda sono state costrette a chiudere. I materiali usati si limitavano strettamente a quelli autoctoni: ceramica, legno naturale, dipinto, verniciato e pirografato, in tutte le misure e forme. Inoltre venivano usati i bottoni in ceramica verniciata di svariate forme e di vati colori.
I bottoni di Fratti, nel 1941 ostentavano altri materiali alternativi autarchici e “da guerra” come il sughero, la paglia e il torsolo delle pannocchie del granoturco.
Erançois Hugo, ha disegnato per Worth, Hermes e Schiapparelli una serie di bottoni per l’alta moda realizzati con fili elettrici.
La cerniera lampo in questo periodo non viene fabbricata poiché mancano le materie prime per produrla di conseguenza vengono di nuovo introdotti i bottoni ed inoltre il regime fascista aveva requisito il ferro, il rame e l'ottone.
Giuliano Fratti, nei suo atelier si accoda con le sarte modelliste per acquistare presso le case francesi gli originali e i diritti di copiare i bottoni. In tal caso quando le sarte italiane, venivano a Milano dai modellisti per aggiornarsi trovavano i bottoni originali o le copie. Così conquistò un'ampia clientela nell'atelier di Montenapoleone.
Nei tailleur e mantelli ricorrevano ai bottoni classici in corno, madreperla, galalite, legno, bambù, cuoio e sughero.
Marie Claire del 14 maggio 1949 elogia i creatori di bottoni che “si son presi l’incarico d’inventarne di ogni genere, di ogni colore, di ogni qualità”. Pertanto “Nostra Signora Moda” aveva “voglia di bottoni” e posano a pioggia su gonne, tasche e mantelli.


Bibliografia

DE BUZZACCARINI VITTORIA e MINICI ISABELLA ZOTTI, Bottoni & bottoni, Modena, Zanfi, 1995, 2 ed.
EPSTEIN DINA e SAFRO MILLICENT, Buttons, New York, Harry N. Abrams Inc., 1991.
FERRIGNI PIETRO COCCOLUTO, I Bottoni nell'arte e nella storia, Napoli, Colonnesse, 1993, 2 ed.

Aggiornamento del 28/02/2023.


Anni '30



Illustrazione di un bottone vorticoso simile a quello della collezione realizzata da Elsa Schiapparelli nel 1935-36 di ispirazione militare. I bottoni originali sono in metallo pressofuso, creati dall'artista Jean Cocteau per la stilista, applicati su una giacca rosso gallico e realizza da Ducharne in lana.

Negli anni '30 prevale una certa eleganza e ricerca artistica nonostante il nazionalismo e regime fascista che imponeva delle limitazioni in fatto di moda visto che prima di questo periodo era francese.
L'Italia riesce a riscattarsi organizzandosi bene bene affinché era riuscito a strappare alla Germania il primato e il mercato. Le principali aziende tradizionali italiane erano concentrate nella zona di Bergamo dal 1876 si producevano bottoni in corozo a Palazzo dell'Olio. Nel 1870 si erano insediate altre aziende specializzati in altri materiali quali unghie, ossa di bue, corno di bufalo, cervo e madreperla. Non solo in questa zona, ma era anche fiorente nel piacentino. Qui fu un dottore Vincenzo Rovera che con pochi operai diede inizio di produzione dei bottoni in corozo.
Nell'immediato finire della guerra le industrie operaie che si sviluppano erano delle cooperative di artigiani che si riuniscono per perfezionare al meglio il commercio del prodotto.
Un esempio di queste è la fabbrica di Bomisa dove cera la produzione a ciclo continuo e tra i soci erano presenti dei confezionisti.
Tempo di maschilismo, tasso di disoccupazione altissimo, ma un curioso caso vuole che nei bottonifici veniva considerato con un lavoro femminile. Benché veniva considerato un lavoro leggero, adatto alle mani piccole e alla precisione delle donne.
Le materie prime di magio impiego erano il corozo ricavato dalla palma “dum” che cresceva bene in Eritrea e nel Sudan. Assomigliava caratteristicamente nel processo lavorativo e di colorazione all'avorio vegetale che proviene dal sud America, ma si doveva considerare la differenza che era più facile da reperire. Inoltre, in quel periodo Eritrea era una colonia italiana.
Le produzioni dei bottoni in frutto italiana conquista persino il mercato delle case di moda francese. Persino le riviste francese quando descrivevano gli accessori all'allacciatura prendevano come riferimento le didascalie descrittive del modello.
Milano, alla fine degli anni Trenta, in via Montenapoleone, c'era un mini atelier chiamato “Mister Bottone” dai suoi numerosi clienti internazionali che lo stimavano evidentemente moltissimo. All'interno del negozio era presente un laboratorio con otto-dieci artigiani, un tornio, un bilancino, macchina per foderare bottoni di tessuto. Il proprietario di questa attività era Giuliano Fratti che creava e disegnava per chi li richiedeva sia per le sartorie oppure lui li vendeva al dettaglio.
“Ma che bel bottone, che bel bottone. Peccato che non sappia dove metterlo!” Così esclamava il sarto Ferrario quando nell'osservare un grande e vistoso bottone di frutto nero-lucido. Il giorno seguente avviene una telefonata, di conseguenza lui decise di confermare a Fratti che quel bottone sarebbe stato messo su un elegantissimo tailleur nero. In questo caso si potrebbe anche dire il bottone ha fatto l'abito.

Bibliografia

DE BUZZACCARINI VITTORIA e MINICI ISABELLA ZOTTI, Bottoni & bottoni, Modena, Zanfi, 1995, 2 ed.
EPSTEIN DINA e SAFRO MILLICENT, Buttons, New York, Harry N. Abrams Inc., 1991.
FERRIGNI PIETRO COCCOLUTO, I Bottoni nell'arte e nella storia, Napoli, Colonnesse, 1993, 2 ed.

Aggiornamento del 28/02/2023.